Dal marketing tradizionale al marketing esperienziale

farfalla_4Negli anni 60 si credeva che il consumatore fosse un individuo razionale e capace di prendere decisioni considerando costi e benefici delle azioni intraprese. A questo ipotetico attore razionale servirebbe solo l’informazione; una volta informato, sceglie ciò che riesce a massimizzare la sua funzione di utilità, soppesando i benefici ottenuti da una certa scelta ai costi che essa comporta.
I limiti di questo paradigma di marketing classico potrebbero essere riassunti nei seguenti punti:

1. L’assunto secondo il quale i consumatori sono soggetti razionali dotati di uno schema di pensiero lineare. In verità le persona non agiscono secondo questo modello e le dinamiche di pensiero non sono facilmente prevedibili.

2. La credenza che la dimensione cognitiva del consumatore sia consapevole. Su questa credenza si sviluppano delle ricerche tramite le quali si chiede ai consumatori di dare informazioni riguardo ai loro atteggiamenti e comportamenti. In verità gli individui riescono a verbalizzare solo una parte minima della loro attività mentale, e spesso non la più interessante: quello che ci può dire un consumatore riguardo le sue scelte ed i suoi comportamenti di consumo è solo una parte minima del tutto.

3. L’esperienza di consumo è scomponibile nelle parti che la compongono. In particolare, è possibile studiare separatamente la mente, il corpo, l’ambiente culturale, e l’ambiente sociale senza tenere conto degli effetti di interazione tra di essi. Questo approccio ritiene che sia possibile comprendere la realtà scomponendola nelle sue parti senza togliere nulla al tutto: come si smonta un orologio e se ne osservano le parti, così si può fare con ogni aspetto del reale. In verità questa visione non considera la rilevanza delle cosiddette proprietà emergenti, quelle che nascono proprio dall’interazione tra parti e che non sono prevedibili dalla semplice conoscenza di queste ultime.

4. La convinzione che i consumatori siano in grado di ricordare in modo accurato le esperienze trascorse, e che i ricordi rimangano stabili e fedeli nel tempo. In verità le memorie degli individui si discostano col tempo dal vero e finiscono con il costruire una realtà spesso lontana da quella che si è vissuta in passato. Questo ricordo ha però la forza del ricordo autentico, sebbene sia plasmato, in parte, dai desideri e significati che l’individuo fatto coincidere con l’esperienza.

5. Il processo di pensiero dei consumatori sia rappresentabile attraverso forme verbali. Poiché l’aspetto cognitivo non è completamente consapevole, le forme logiche della comunicazione verbale si rivelano inadeguate all’oggetto che si vuole conoscere.

6. I consumatori interpretano i messaggi delle aziende nel modo atteso dalle aziende, senza operare alcuna trasformazione o senza utilizzare alcun filtro. Sebbene la capacità empatica ci permetta di anticipare le reazioni altrui a specifici stimoli, questa non è mai perfetta, perché le condizioni dell’altro non possono essere mai conosciute in maniera assolutamente approfondita. Inoltre il sistema è così complesso da garantire quasi la presenza di effetti controintuitivi, e quindi l’impossibilità di pianificare con precisione azioni e reazioni.

Criticando il riduzionismo applicato dall’approccio razionalista, Zaltman restituisce al consumatore un’immagine a tutto tondo che lo rappresenta in modo più veritiero perché considera la complessità dell’uomo. Per Zaltman i consumatori “… non hanno l’accesso alle attività mentali che è ipotizzato dalle imprese. Il 95% del processo di pensiero avviene ad un livello inconscio – quella meravigliosa, e anche confusa, amalgama di emozioni, pensieri, ed altri processi cognitivi di cui non siamo consapevoli e che non riusciamo ad articolare” (Zaltman).

Da queste constatazioni deriva la consapevolezza di quanto sia inadeguato trattare l’individuo come se fosse in grado di comprendere con la ragione gli stimoli cui è esposto, elaborarli, e scegliere secondo un principio di massimizzazione rappresentabile da una funzione matematica, ecco perché occorre parlare non già di razionalità o soddisfazione, ma di esperienza.

Oggi la prospettiva esperienziale propone di considerare il consumatore come un individuo completo, che utilizza sia processi cognitivi che processi affettivi, ed inoltre propone di analizzare l’esperienza in un tempo non puntuale, ma esteso. L’approccio esperienziale è olistico, perché riconosce la complessità dell’esperienza e non tenta di scomporla in parti; adotta la prospettiva del consumatore, ammette la soggettività dell’esperienza individuale, e, dunque, la necessità di porre l’individuo al centro dell’attenzione per poterne comprendere le esperienze.

Il consumatore non razionale sceglie dunque non in base ad un calcolo, ma stimolato da altri fattori, tra i quali ha una posizione di rilievo primario l’esperienza che vive quando entra in contatto con il prodotto che intende consumare (o che sta consumando) e con tutte le sue rappresentazioni.

Pine e Gilmore (1999) evidenziano infatti la centralità dell’esperienza per il consumatore contemporaneo e quindi la rilevanza che essa dovrebbe avere per l’impresa: l’oggetto di attenzione non è il bene di consumo, per capire il quale si seguono le valutazioni razionali del consumatore, ma piuttosto, nella nuova prospettiva, l’oggetto d’interesse e di studio è la relazione tra consumatore e oggetto, dunque un qualcosa che è intrinsecamente dinamico e che richiede un modo nuovo di guardare al consumo, considerandolo innanzitutto un’esperienza, proprio perché è relazione e come tale non si esaurisce puntualmente nel tempo.

La prospettiva esperienziale, adatta a comprendere i comportamenti di consumo nella fase attuale delle esperienze, ha come oggetto d’analisi non il bene in se, ma piuttosto l’esperienza di consumo in quanto relazione che si protrae nel tempo tra individuo e bene. Proprio perché è una relazione che non è solamente razionale, essa comporta un qualche livello di coinvolgimento emotivo del consumatore indicato dal suo livello di coinvolgimento con l’oggetto, dalle modalità di consumo dello stesso, e dalle rappresentazioni simboliche che il consumatore ha degli oggetti di consumo. Il coinvolgimento aumenta se aumenta l’importanza attribuita all’oggetto (o attività), e se è intenso l’entusiasmo che deriva da questa importanza attribuita.

La componente centrale, per poter parlare di coinvolgimento del consumatore, è necessariamente l’interazione tra il consumatore stesso e l’ambiente in cui si trova, comprendendo anche, e con un’attenzione particolare, il prodotto che viene consumato (prodotto come bene o servizio o esperienza); l’esperienza di consumo è infatti il risultato di una interazione tra individuo e ambiente, interazione che permette delle rappresentazioni soggettive della realtà da parte dell’individuo in relazione. Il consumatore, grazie al suo essere sempre immerso in un determinato ambiente culturale e sociale, è in grado di produrre delle rappresentazioni simboliche delle sue esperienze di consumo.

Volendo temporalizzare l’esperienza di consumo si possono isolare quattro momenti nella interazione tra individuo e bene (o produttore del bene), che, seguendo la categorizzazione proposta da Arnould, Price e Zinkhan, riportiamo di seguito:

1. Innanzitutto esiste una esperienza che precede l’acquisto, durante la quale l’individuo si crea delle aspettative basate sulle informazioni che ha potuto reperire ed elaborare.

2. La fase che segue è quella della esperienza d’acquisto; nella quale l’individuo è esposto a moltissimi stimoli ambientali, siano essi quelli dell’ambiente fisico in cui avviene l’acquisto vero e proprio, siano essi stimoli virtuali. Questa fase è importante per l’azienda perché gli stimoli cui è sottoposto l’individuo possono e dovrebbero essere gestiti accuratamente perché si possa produrre una esperienza positiva che avrà quindi una maggiore probabilità di essere ripetuta nel futuro.

3. Una volta che il consumatore ha scelto il bene o servizio che vuole acquistare, inizia la fase centrale del consumo, nella quale l’individuo è effettivamente in relazione con il bene che ha acquistato, e durante la quale l’interazione tra individuo e bene può sviluppare delle sensazioni che condizionano profondamente l’intera esperienza vissuta dal consumatore.

4. L’ultima fase è quella del ricordo dell’esperienza di consumo. Come abbiamo sottolineato nella parte del testo che evidenziava le criticità dell’approccio classico, l’individuo non ricorda in modo corretto le memorie del passato, ma anzi con il passare del tempo tende ad alterarle trasformando l’esperienza vissuta nel passato in qualche cosa di nuovo. Questo ricordo dell’esperienza di consumo, per quanto sia soggettivo ed in grado di trasformarsi nel tempo, ha sempre il valore di un ricordo in grado di condizionare i comportamenti ad esso successivi.

Nella prima fase di contatto per acquisto, l’esperienza di interazione tra individuo e prodotto è condizionata dalle politiche che l’impresa attua per posizionare il suo prodotto sul mercato: gestione della marca, comunicazione pubblicitaria, distribuzione del prodotto, e caratteristiche fisiche dei punti vendita. In definitiva, in questa fase, è di importanza fondamentale l’identità che l’impresa vuole conferire alla sua marca (brand image).

Nella fase d’acquisto l’esperienza è modificabile intervenendo sul punto vendita, in particolare su quelle caratteristiche che ne definiscono l’atmosfera: sia l’ambiente fisico, rilevante anche per quanto riguarda la fase del pre-acquisto, sia il tipo di interazione con il personale. Questi due gruppi di caratteristiche (interazioni con l’ambiente fisico e interazioni con il personale) concorrono anche in questa fase alla creazione dell’immaginario simbolico della marca (la brand image).

L’importanza dell’immagine della marca si mantiene anche nelle due successive fasi, quella di consumo, che è centrale alla prospettiva esperienziale per comprendere il comportamento del consumatore, e quella del ricordo del consumo, costituendo in questo modo un concetto trasversale ad ogni fase esperienziale di consumo. E’ l’immagine che l’impresa riesce a dare al proprio marchio e che riesce a mantenere nelle fasi che precedono e che seguono il consumo, la condizione che influenza il coinvolgimento emotivo del consumatore.

Come abbiamo appena visto, l’interazione tra individuo e prodotto può creare un coinvolgimento emotivo più o meno intenso. Le caratteristiche del prodotto ed i fattori individuali interagiscono creando l’esperienza di consumo, la quale finisce appunto per essere più o meno coinvolgente. A questo proposito, Wolf (1999) individua nell’intrattenimento la chiave di volta su cui impostare le politiche di marketing: non solo per quello che riguarda il prodotto, ma anche per quanto riguarda la comunicazione, ed in generale, la brand experience.

Per l’autore sembra dunque che la ricerca dell’intrattenimento debba essere intesa come una caratteristica personale estesa, un carattere culturale che in maniera più o meno intensa condiziona le relazioni tra individui e prodotto, e che dunque direziona l’esperienza di consumo.

Se, secondo Wolf, è la ricerca d’ intrattenimento ciò che condiziona la percezione che il consumatore ha della sua esperienza di consumo, Pine e Gilmore ritengono che gli individui contemporanei non possano essere più ridotti alla sola pulsione edonistica, perchè sono piuttosto animati dalla ricerca dell’autentico.

Questo secondo approccio ci sembra più adatto a spiegare i comportamenti di consumo, perché la ricerca dell’autentico è una categoria più generale rispetto alla ricerca del piacere, in grado di vincolare anche l’esperienza edonistica del divertimento: infatti se ciò che si offre è un servizio edonistico finalizzato al divertimento, esso deve essere percepito come autentico per poter essere accettato dal consumatore.

Il consumatore utilizza il mercato per cercare di costruire la propria identità, per cui il suo fine è quello di vivere una molteplicità di esperienze diverse, corrispondenti ad identità diverse, a molteplici immagini di sé stesso.

L’identità postmoderna è un’identità “riciclata” (Bauman) perché si tratta di una continua ricostruzione e ridefinizione del sé, è il tentativo di recuperare un senso di solidità e continuità perduta. Il carattere postmoderno in continua ricerca di identità è quello del flaneur, l’artista della vita moderna di C. Baudelaire, che costruisce a piacimento delle storie utilizzando frammenti delle vite degli altri.
di Giandomenico De Franco e Gabriel Sapienza