Come decidono i consumatori on line: neuromarketing, turismo ed emozioni

neuromarketingNel 2007 Microsoft commissionò una ricerca sui comportamenti dei consumatori online di cinque Paesi (Brasile, Cina, Francia, Regno Unito e Stati Uniti) per capire quali erano le principali attività svolte sulla Rete. Il 47% dei consumatori di sesso maschile discuteva via e-mail dell’acquisto di servizi finanziari (questo prima dalla debacle finanziaria del 2008, naturalmente) e il 77% delle donne discorreva di programmi per le vacanze. Allora come adesso, se non di più, il tema delle vacanze e delle decisioni ad esse connesso è fortemente associato al mondo femminile.

di Francesco Gallucci, Coordinatore del Dipartimento AISM di Neuromarketing

Secondo Nielsen/NetRatings quasi la metà dei navigatori italiani della Rete navigano su siti legati al mondo del turismo. Si tratta di dati davvero consistenti che pongono l’Italia al terzo posto in Europa, dopo la Francia e il Regno Unito ma prima della Spagna. Quali sono i siti più visitati? Google Maps, Trenitalia, ViaMichelin, Expedia e Lastimune.com (ma nella lista ci sono tutte le compagnie di volo low cost). Quindi, una elevato audience verso i siti di orientamento e di prenotazione dei viaggi e dell’ospitalità. Tutto bene? Si e no. Se guardiamo le statistiche relative alle prenotazioni nel 2009 pubblicate da eTrak sulle prime 30 grandi catene alberghiere mondiali i dati dicono che le prenotazioni telefoniche sono diminuite del 2.9%, quelle GDS del 3,7% mentre il canale Internet è cresciuto del 6,6% e rappresenta ormai il mezzo principale di booking con oltre il 54% delle attività.

Ma il dato più interessante di tali statistiche è la flessione delle prenotazioni effettuate sui siti degli hotel (dal 75,2% del 2008 al 70,9% del 2009), diminuzione da attribuire certamente alla crisi economica che, come nel 2001, ha spinto gli albergatori presi dal panico ad abbassare i prezzi delle camere e ad affidarsi alle grandi OTA (Expedia, Bookings ecc…) per godere dei benefici delle piattaforme e dei flussi di traffico più elevati. Il panico è una delle emozioni negative più studiate e rappresenta una componente basilare delle decisioni. La crisi delle agenzie e dei servizi voce, nei quali la componente relazionale diretta è prevalente, e la crescita del canale Internet, anche se con dinamiche diverse tra booking diretto e intermediato, è un segnale chiaro di come in un periodo di grandi dubbi sul futuro del turismo, l’unica certezza rimane il web soprattutto per Paesi ad alta attrattività turistica, visto che sarà ormai il canale principale di vendita per gli hotel e proprio per questa ragione rappresenta il luogo dove gli albergatori dovranno concentrare le loro energie imprenditoriali e creative e i loro investimenti.

Se si vuole recuperare il gap rispetto agli altri paesi turistici, in particolare la Francia e la Gran Bretagna, bisogna destinare a Internet e al web 2.0 quote crescenti del proprio budget pubblicitario e di marketing, puntando ai seguenti driver: il design accattivante ed emozionale dei siti web (quindi, intuitivo ed ottimizzato dal punto di vista SEO), il posizionamento del sito nelle prime pagine dei motori di ricerca, keyword advertising da associare al posizionamento organico, il booking online stabilizzato e performante e, soprattutto, il social media marketing sull’ecosistema digitale e nelle comunità social travel, il tutto verificato da una corretta pratica di neuromarketing per cogliere nel profondo le dinamiche decisionali dei consumatori. Già, il neuromarketing. Ma cos’è? L’interesse crescente per il neuromarketing offre l’occasione per alcune considerazioni sul futuro del marketing e delle ricerche sui comportamenti dei consumatori.

Ma prima occorre rispondere ad alcune domande chiave: in che misura il marketing odierno è in grado di cogliere, con le ricerche convenzionali, tutte le sottili sfumature associate ai comportamenti dei consumatori? Perché molti nuovi prodotti non riescono ad avere il successo che probabilmente meritano, nonostante i notevoli investimenti destinati alla ricerca e sviluppo, e scompaiono dagli scaffali entro i primi dodici mesi dal lancio? E infine, la pubblicità che vediamo quotidianamente riesce cogliere i reali interessi dei consumatori? Le neuroscienze affermano che le decisioni sono prese solo in minima parte dalla componente razionale del cervello. Le scelte, soprattutto quelle fondamentali, maturano in profondità, ai livelli preconsci se non inconsci e inducono i consumatori a comportamenti che sono legati all’esperienza avuta, alle loro conoscenze e a ciò che i comunicatori definiscono i valori della marca.

Nella confusione mediale e nell’iperofferta di prodotti nei punti di vendita e di siti web sulla Rete l’esperienza e la fiducia nei brand sono spesso il riferimento di salvataggio per ognuno di noi per orientarci e decidere. Ma non basta, conta molto nella decisione la comprensibilità del messaggio erogato e la sua capacità di trasmettere significato. Il filosofo Edgard Morin afferma che i contenuti di un messaggio devono essere pertinenti, ovvero devono toccare le corde della sensibilità profonda delle persone. Se una pubblicità, una marca, un prodotto, non riescono a farlo non avranno alcuna possibilità di creare engagement, ovvero il coinvolgimento emozionale che può portare il consumatore ad entrare in sintonia con il brand, il prodotto o la pubblicità. La possibilità di schiacciare il “bottone dell’acquisto” è una metafora che accompagna la storia del marketing e della pubblicità dalle proprie origini. Qualcuno ricorderà probabilmente lo scalpore suscitato dal libro di Vance Packard “Persuasori occulti” negli Anni Sessanta e l’ondata di proteste sul presunto potere della pubblicità di influenzare le scelte di acquisto. Dopo cinquant’anni ecco che si torna a parlare del “bottone” che se schiacciato (come?) innesca un comportamento del consumatore incontrollabile (da chi?) che lo porterà inevitabilmente a fare ciò che il persuasore occulto gli dirà di fare.

Se libertà non è scegliere tra bianco e nero ma sapersi sottrarre all’obbligo della scelta, come spiegava Theodor W. Adorno ai suoi studenti di Francoforte, allora c’ è poco da fare: siamo tutti schiavi. Non dell’indecisione, ma dei nostri neuroni. Lo hanno scoperto a Boston, nei laboratori della Harvard Medical School, lo rilancia Nature, tra le più influenti riviste scientifiche internazionali (la ricerca sarà pubblicata oggi sul suo sito web, nature.com): a farci decidere tra, mettiamo, spuntino dolce o salato, un paio di jeans o un pantalone elegante, una svolta a destra o a sinistra, sono le cellule nervose situate in un’ area del nostro cervello, la corteccia orbitofrontale. Gruppi di neuroni che si «accendono» o si «spengono» per indirizzare le nostre scelte, aiutandoci a valutare benefici o svantaggi di opzioni anche molto diverse fra loro. Questo vuol dire che, sappiamo quale potrebbe essere il meccanismo neuronale che si attiva durante la decisione.

Come decidono i consumatori? Quali sono gli elementi della pubblicità che coinvolgono ed emozionano? Queste sono alcune delle domande alle quali le ricerche di mercato “tradizionali” non riescono a rispondere. Come mai? La ragione risiede nella complessità del modello decisionale delle persone che associa, ad esempio, le attività cerebrali ai comportamenti d’acquisto. Tali decisioni si susseguono ad alta velocità e producono centinaia e centinaia di comportamenti (semplici o più impegnativi)che avvengono quasi al di fuori del controllo della parte razionale del cervello, in modo routinario.

Come scegliamo un’assicurazione auto? Perché siamo così certi di avere sempre il controllo sulle nostre decisioni? Perchè Internet appare così rassicurante quando si deve fare un confronto tra preventivi e magari, spinti da una imperscrutabile molla, decidere seduta stante di sottoscrivere quello che costa di più?

Il marketing tradizionale ha trovato una formula convincente per spiegare tali comportamenti, si tratta di acquisto di impulso, ovvero non programmato. Quando tale comportamento diventa patologico gli psicologi parlano di compulsione, una brutta parola che rimanda all’idea della malattia. Grazie agli studi condotti da 1to1lab sui comportamenti dei consumatori utilizzando tecnologie non verbali, quali l’eeg-biofeedback e l’eyetracking, da soli o combinati, abbiamo compreso che l’impulso riguarda solo la spiegazione razionale data dal consumatore intervistato. Le neuroscienze da qualche anno stanno svelando che la componente razionale delle decisioni conta pochissimo, per capirci in una scala da uno a cento il 5%. E il restante 95% cos’è? E’ la componente profonda e non consapevole delle decisioni, che sfugge anche alla parte razionale. In tale prospettiva, ad esempio, il concetto di decisione di acquisto di un viaggio d’impulso, stimolato magari da una bella immagine vista su un sito web di qualche luogo di sogno, per essere compresa deve essere riportata alla dimensione profonda in cui avviene la decisione, l’inconscio e il subconscio. Non si può parlare semplicemente di impulso ma di motivazioni che scaturiscono dalle esperienze e dalle conoscenze che albergano nella nostra memoria di lungo periodo.

E’ evidente che tale prospettiva richieda una revisione altrettanto profonda da parte del marketing turistico: non è più sufficiente ridurre la decisione di acquisto ad un impulso momentaneo. Se davvero i consumatori reagissero ad uno stimolo improvviso fornito da un prodotto comprandolo (aggirando quindi il filtro salutare della mera decisione razionale) vorrebbe da dire, ahinoi, che siamo davvero degli automi/zombie-turisti che si muovono tra brochure e pacchetti di viaggio privi di modelli e schemi che li portano a decidere in ogni situazione. Per fortuna l’homo sapiens ha molte risorse nascoste che lo rendono radicalmente diverso dal semplice automa tanto spesso evocato dai critici del marketing e del neuromarketing. Ciò che ci aspetta è un nuovo modello di comunicazione più responsabile nel quale i proponenti (operatori turistici) e i destinatari (i turisti) diventino parte attiva – grazie a Internet – di un più efficace ed emozionante sistema di comunicazione.