Anche in un periodo di crisi come l’attuale, gran parte degli acquisti di una famiglia dipende dai desideri e dalle esigenze dei bambini.
Il bambino, che una volta veniva mandato al negozio più vicino con la lista della spesa ed i soldi contati, adesso pratica con sicurezza lo shopping interattivo e gli vanno stretti persino i supermercati, nonostante le politiche di questi ultimi spesso mirate a captarne l’attenzione con gli strumenti più diversi.
Da questa ormai consolidata realtà nasce il “kids marketing” che coinvolge ricercatori, manager e, non ultimi, psicologi e sociologi: è infatti evidente il risvolto di carattere etico che sta dietro a questo fenomeno, sussistendo il rischio che il condizionamento esercitato dal commercio influisca sullo sviluppo di personalità ancora in via di formazione. D’altra parte, c’è chi sostiene che in realtà il bambino non sia interessato tanto all’aspetto mercatistico dell’atto di acquisto quanto piuttosto all’emozione che deriverebbe dalla condivisione di un’esperienza nuova.
Sembra comunque auspicabile, sia nei confronti degli adulti che dei più giovani, la solita via di mezzo secondo la quale la pressione promo-comunicazionale dovrebbe fare un piccolo passo indietro per dare maggiore spazio a volontà e capacità di scelta dell’individuo: ciò dovrebbe valere, a maggior ragione, nei confronti dei bambini.
In realtà, però, i bambini non si lasciano condizionare tanto facilmente: al contrario, col crescere dell’età (dati Doxa ed Eurisko), cresce in loro anche la consapevolezza riguardo alle aspettative e ai desideri, con una determinazione spesso più accentuata rispetto agli adulti e per questo sono in grado, come detto all’inizio, di condizionare in modo determinante le scelte di acquisto della famiglia.
Se questo è un dato di fatto ormai consolidato, ne consegue l’assoluta necessità, per le aziende, di studiare strategie per portare i bambini “dalla loro parte”, fino a veicolare tramite i bambini i messaggi di incentivazione all’acquisto destinati agli adulti: e qui si ripropone il problema dei “limiti” che ogni azienda ethically correct deve saper rispettare.
Altro aspetto importante è quello che riguarda le relazioni tra il prodotto / marca e l’individuo: è ormai dimostrato che queste sono tanto più strette quanto prima si generano, per cui quelle nate da bambini hanno considerevoli probabilità di resistere anche in tempi successivi e, nella maturità, essere trasmesse alle generazioni seguenti; vedasi l’emblematico caso del passaggio generazionale figlio – genitore – figlio verificatosi con Nutella e puntualmente ripreso nella comunicazione sul prodotto.
Gli italiani tra 5 e 13 anni sono attualmente circa 5 milioni, la maggioranza dei quali vive in nuclei famigliari la cui dimensione è andata progressivamente restringendosi, ma esiste anche una non trascurabile minoranza (in crescita) collocata in contesti più allargati originati da forme di convivenza alternative: quest’ultimo segmento è più indipendente nelle scelte, mentre i primi sono più allineati alle abitudini dei nuclei di appartenenza: nella creazione di un prodotto per bambini va tenuto debito conto di questa diversità di approccio, sia in fase di progetto che, ovviamente, di comunicazione che, soprattutto, in fase di distribuzione.
E’ infatti fondamentale, più che in ogni altro caso, la scelta ottimale del luogo dove il prodotto sarà reperibile: come abbiamo detto, il bambino (ma un po’ anche l’adulto) cerca emozioni ed esperienze nuove attraverso l’interazione reale e virtuale.
Con questo presupposto, il supermercato non è più la soluzione: ecco allora nascere spazi esperienziali il cui prototipo è stato, ad esempio, l'”American Girl Place” (www.americangirl.com) dove le piccole clienti vivono una vera vita di donne adulte con tutti i problemi e le gioie della quotidianità famigliare, dallo shopping per la figlia-bambola alla gestione del budget famigliare, agli acquisti per la loro casa virtuale. Niente più in comune con un negozio, ma tutto quello che è presente può essere acquistato.
Luogo di pellegrinaggio per bambine, madri e nonne (e di studio per sociologi), American Girl Place consente alla bambina di correlarsi con le coetanee escludendo gli adulti, realizzando un bisogno di indipendenza da questi ultimi universalmente sentito, se è vero che in una scuola elementare milanese, ai cui alunni era stato chiesto di rappresentare il loro negozio ideale, in quasi nessun disegno sono stati rappresentati degli adulti.
Ciò potrebbe far pensare che la supposta omologazione del bambino all’adulto sia più una convinzione o un’aspirazione degli adulti stessi che non del bambino, il quale (pare) ne farebbe volentieri a meno: ciò deve far meditare profondamente chi intende addentrarsi in questo mondo con prodotti o servizi mirati al target dei più giovani.
Umberto Bisio
consulente in marketing, socio CDV&M della Provincia di Cuneo, associato AISM