A cura della redazione di AISM
Siamo giunti al secondo appuntamento per il 70° Anniversario della fondazione della “Associazione Italiana Sviluppo Marketing – AISM”, attraverso l’analisi del pensiero di Guglielmo Tagliacarne, che è stato tra i suoi fondatori – oltre che ricercatore, pubblicista, Segretario Generale della Camera di Commercio di Milano e Direttore dell’Unione Italiana delle Camere di Commercio coniugandolo con la visione di Gaetano Fausto Esposito, Economista, Docente universitario e Direttore dell’Istituto di Studi intitolato a Guglielmo Tagliacarne.
BREVE INTRODUZIONE
Come abbiamo già scritto, il 1954 rappresenta un momento di svolta per l’Italia del dopoguerra, un anno in cui la società, l’economia e la cultura iniziano a mostrare segni tangibili di rinascita e di modernizzazione, gettando le basi per il boom economico degli anni ’60, grazie anche agli investimenti del Piano Marshall e alle riforme messe in atto nei primi anni della Repubblica. A conferma dell’estrema vitalità del settore Marketing e Comunicazione, numerose sono le iniziative di forte valore che nascono in questo anno, tra gli altri: il IV Congresso Nazionale della Pubblicità a Venezia, la nascita dell’Associazione Pubbliche Relazioni e, per noi determinante, sotto gli auspici del comitato nazionale per la produttività, della commissione assistenza tecnica del C.I.R. e dell’U.S.O.M., si è costituita a Roma l’AISM – Associazione Italiana per gli Studi di Mercato. Il consiglio direttivo era così formato: presidente Guglielmo Tagliacarne, i vicepresidenti sono Costantino Dragan e Tommaso Prudenza mentre la figura di segretario generale è ricoperta da Giuseppe Ratti. La Mission di questa associazione è di diffondere la conoscenza e la pratica degli studi di mercato fra gli operatori economici, studiarne la tecnica, i problemi e i vantaggi, collegare l’attività di tutti coloro che si dedicano a questi studi sia in seno alle aziende sia presso enti specializzati ed Agenzie.
Alla fine dello stesso anno esce il primo fascicolo della rivista “Studi di mercato” edita a cura dell’Associazione Italiana per gli Studi di Mercato. Si tratta del primo esempio di rivista italiana incentrata su tale argomento, e, già dal primo numero, spiccano articoli che trattano alcuni dei fondamentali problemi delle dei temi in carico all’Associazione e che si distinguono proprio per l’impostazione strettamente scientifica. Uno tra questi ha un titolo significativo e, ovviamente centrale, perché tratta il tema della diffusione e della formazione, cioè, “Lo studio del mercato dell’insegnamento universitario italiano”. Questo grande sforzo editoriale ha trovato nel presidente Guglielmo Tagliacarne e nel direttore della rivista Giuseppe Ratti, due personalità estremamente entusiaste e aggiornate sui percorsi del marketing nel mondo.
PRODUTTIVITA’ E BENESSERE
Proprio per sottolineare la maturazione della visione di marketing in Italia, anche riguardo il termine “Produttività”, prendiamo spunto dall’articolo “PRODUTTIVITA’ E BENESSERE”, pubblicato su “Il Giornale di Brescia”, il 3 marzo 1954, ad opera di Guglielmo Tagliacarne. Eccone i punti cruciali.
“Produttività: parola magica. Un economista francese l’ha chiamata ‘la grande speranza del secolo’. Ma, di che cosa si tratta? Detto in breve, essa è il rapporto fra ciò che si produce e i mezzi che si impiegano per produrre; interessa quindi aumentare il più possibile la produzione, ossia il numeratore, e ridurre al minimo i mezzi, ossia il denominatore. Tutto qui? Ma allora non è la vecchia legge economica, che si trova nelle prime pagine di ogni libricino di economia politica, e si enuncia come il principio del massimo risultato col minimo sforzo? (…) Sì, la parola e la cosa erano ben conosciute dai nostri nonni e padri, ma ora è tutta un’altra faccenda. Bisogna vederla col suo nuovo volto, interpretarla nei suoi nuovi termini, comprendere il suo spirito dinamico; soprattutto bisogna concepirla come uno strumento di progresso, da impiegare con energia, intelligenza ed entusiasmo; cercando di trarre il massimo profitto da un’idea motrice, nutrita di tecnica e di umanità capace di moltiplicare i beni e di sviluppare il benessere. (…). La produttività di cui ora si parla non è più e non è soltanto quella ristretta all’ambito aziendale, ma è salita a un livello più elevato e si è estesa a un campo più vasto, che è quello nazionale. Ecco una novità, per chi crede che la produttività sia una cosa vecchia: dilatazione dell’individuale all’universale. Sia chiaro che l’imprenditore dovrà tendere con ogni sforzo ad accrescere la produttività della sua azienda e, ciò facendo, concorre al bene di tutti (…). La produttività di cui è pervaso il mondo moderno non si limita alla tecnica, alla macchina, al laboratorio scientifico, ma fa perno sul valore e sui sentimenti, sulla capacità, sullo spirito immaginativo di ogni individuo, dal dirigente all’impiegato e all’operaio più modesto. Si vuol mettere in moto e stimolare la personalità umana, che è la scintilla divina di ogni creatura, ed è spesso capace di più alti rendimenti di quelli puramente tecnici. Quindi la produttività diventa una fusione di principi tecnici e di principi umani (…)”.
Per approfondire ed anche comprendere meglio i particolari del pensiero del Tagliacarne, ci avvaliamo dell’intervento di Gaetano Fausto Esposito.
Inizia a farsi largo una visione più avanzata del concetto di “produttività”: si parla di dilatazione dall’individuale verso l’universale, addirittura si ipotizza una visione tecno-umanista. Cosa ne pensa di questo passaggio?
“Nel brano di Guglielmo Tagliacarne si evince la modernità della concezione del ruolo della produttività e con essa della questione dello sviluppo. Da evidenziare il valore eminentemente qualitativo di questo concetto e non esclusivamente quantitativo. Per il mainstream economico di quegli anni la produttività era sostanzialmente una questione che oggi definiremmo di efficienza ossia, con le parole dello stesso Tagliacarne, una applicazione del principio edonistico del massimo risultato con il minimo sforzo. Non deve stupire: il paradigma dominante di produzione era quello cosiddetto fordista, ossia di produzioni di beni standardizzati a basso o nullo livello di personalizzazione, il cui elemento di successo è nella scala produttiva. In questo sistema è ben comprensibile che l’impresa dovesse minimizzare i costi e massimizzare i ricavi. Ma Tagliacarne era un uomo di marketing e coglieva anche il nuovo che stava emergendo, ossia il tema della differenziazione dei gusti e una sorgente domanda di varietà di beni che, in linea generale, potevano soddisfare gli stessi bisogni elementari. Coglieva quindi l’esigenza di dare valore non solo alle tecniche e agli impianti ma a quel complesso di fattori dai quali nasce la creatività, che poi si trasfonde nel prodotto e aumenta del valore aggiunto della produzione. Ecco il grande passaggio: la produttività non si collega all’intensità di impiego di un lavoro omogeneo e di un capitale (le macchine) omogeneo, ma scaturisce dalla combinazione di fattori che fanno perno sulla persona. Con molto anticipo rispetto alla teoria economica, Tagliacarne focalizzava sul ruolo della qualità del capitale umano come uno dei fattori discriminanti, mentre Gary Becker negli Stati Uniti qualche anno dopo avrebbe definito con maggior e precisione il capitale umano in termini di istruzione, salute, formazione, ecc. e proprio per queste sua analisi sarebbe stato poi insignito del Premio Nobel per l’Economia.
Quindi Guglielmo Tagliacarne sicuramente può essere visto come un precursore di una visione tecno-umanistica, in verità in questo senso si pone in continuità con il nostro pensiero economico civile, in primo luogo con Antonio Genovesi, ma anche (e da questo punto di vista forse soprattutto) con Carlo Cattaneo che con la sua Rivista “Il Politecnico” a partire dal 1939 fu forse uno dei precorritori nella diffusione di un approccio tecno-umanista. Ma più in generale il tema che poi oggi affrontiamo è la capacità della mente umana di agire in una forma ricombinatoria di saperi tecnologici e saperi umanistici, per dare vita a nuove forme di innovazione”.
L’andamento demografico 1954-2024. Quanti abitanti contava l’Italia nel 1954 e quanti ne conta nel 2024?
Dalla serie di articoli targati 1954 e firmati dal Tagliacarne emerge un dato demografico che con il tempo avrebbe acquisito un significato “drammatico”.
Nel 1954, l’Italia aveva una popolazione di circa 48.299.000 abitanti mentre all’ 1° gennaio 2024, la popolazione residente in Italia è pari a 58.990.000 unità. Questo rappresenta un incremento di circa 10,7 milioni di persone rispetto al 1954.
Come si può definire questo incremento 1954/2024, comparato ad altri paesi europei? L’incremento della popolazione italiana dal 1954 al 2024, pari a circa 10,7 milioni di abitanti (+22%), può essere definito modesto rispetto a molti altri paesi europei, a seconda delle dinamiche demografiche specifiche di ciascun paese. Ecco un confronto generale, partendo da Paesi con dati significatamene positivi:
Francia: Ha registrato una crescita significativa, passando da circa 43 milioni nel 1954 a oltre 68 milioni nel 2024 (+58%).
Regno Unito: Ha avuto un aumento marcato, da circa 50 milioni a oltre 68 milioni (+36%).
Spagna: La popolazione spagnola è passata da circa 29 milioni a 47 milioni (+62%).
Tra i Paesi dell’Europa orientale (ad esempio Polonia, Romania, Ungheria), molti di questi hanno visto la popolazione stagnare o addirittura diminuire dopo il crollo dell’Unione Sovietica. La Russia (parte europea), per esempio, ha sperimentato un netto calo della popolazione dopo gli anni ’90.
L’Italia ha avuto un crollo del tasso di natalità a partire dagli anni ’80, quindi un incremento demografico modesto in termini percentuali nel periodo 1954/2024, caratterizzato da un significativo invecchiamento della popolazione.
Per approfondire ed anche comprendere meglio i particolari odierni di questa problematica, ci avvaliamo delle parole di G. F. Esposito, che ha recentemente scritto sul tema l’articolo “Glaciazione demografica e occupazione over 50: come contrastare il declino della produttività”, per HuffPost, Gennaio 2025.
“Il calo demografico è sicuramente uno dei temi di grande importanza nel lungo periodo, perché le previsioni che si possono fare al 2050 e addirittura al 2070 danno il nostro paese tra quelli messi peggio al riguardo. Di più: stiamo assistendo a un fenomeno che interesserà di più il Mezzogiorno rispetto al resto del paese in cui verrà in pate attenuato dai maggiori flussi di immigrazione. Al Mezzogiorno invece al calo demografico si somma lo spostamento di una parte importante dei giovani per motivi di studio e di lavoro, quello che in passato era stato definito il “brain drain”.
Rischiamo di subire già nel prossimo futuro una contrazione delle forze di lavoro e quindi una riduzione del nostro PIL potenziale. Ricollegandomi al precedente tema della produttività sta emergendo, per la verità non solo da noi, la questione dell’invecchiamento della forza lavoro che potrebbe portare anche a una minore produttività, in quanto ci sono diverse analisi che evidenziano come la crescita dell’età dei dipendenti si accompagni, in assenza di azioni di sviluppo del capitale umano, anche a un minore contributo alla produzione. Fino ad ora ci sono stati degli studi a livello internazionale, come ad esempio dell’OCSE, che hanno posto il tema all’attenzione ma non si è ancora diffusa una più vasta consapevolezza al riguardo. Diciamo che per evitare un futuro di stagnazione anche a questo riguardo serve incentivare non solo una maggiore attenzione sulla formazione permanente delle persone, ma anche favorire un più ampio confronto di idee e di approcci all’interno di gruppi di lavoro caratterizzati da diverse composizioni per età. Anche qui quindi occorre dare valore all’approccio relazionale tra persone perché pure in termini generazionali è la diversità che stimola la creatività … e anche la motivazione”.