Profit e Non: Ibridazioni di genere

di Annalisa Trezza

 

Enti pubblici, consorzi di servizi ambientali, musei, università, parchi naturali e associazioni di volontariato hanno sempre più urgenza di gestire le proprie attività con criteri manageriali organizzati e consapevoli.

La crescita economica e dimensionale, il miglioramento della corporate-image, il potenziamento del parco “clienti” con un conseguente processo di loyalty sono obiettivi chiave per l’organizzazione non profit (ONP) così come per il business. E se per le ONP l’unico strumento per realizzare la propria mission è il cosiddetto “fund raising”, ovvero la raccolta fondi, viene da sé l’esigenza di un front-line in grado di “vendere” tesseramenti adottando le stesse tecniche di negoziazione con cui si vendono enciclopedie o assicurazioni sulla vita. Per un’associazione ambientalista, come per una società assicurativa, partire dal cliente significa analizzarne i desideri e le priorità, sapendo evidenziare le realizzazioni “di marca” (campagne specifiche, successi nelle attività di lobbying trasparente, ecc) più appetibili agli occhi del cliente. La vera differenza che distingue il consumatore dal cittadino e, dunque, il profit dal non profit è la motivazione. Il cittadino che aderisce ad una causa sociale realizza il desiderio sotteso di partecipazione civica ed emotiva. Nel caso di sottoscrittori collettivi come le imprese, invece, la motivazione alla partnership sta nel ritorno in immagine che ottengono facendo delle Relazioni Pubbliche uno strumento del marketing mix.

Se da un lato, infatti, la crescente concorrenza di settore costringe le organizzazioni non profit ad adottare le stesse logiche del profit, dall’altro le nuove attese sociali inducono le aziende ad assumere una condotta etica nel fare business. Profit e non profit si ibridano per fecondarsi a vicenda. “Marketing non profit” non è, dunque, una contraddizione in termini, ma un nuovo sodalizio semiotico.
Dal punto di vista delle ONP, la partnership con un’ azienda profit permette una maggiore visibilità, creando una cassa di risonanza per le azioni intraprese e la causa sociale. La scelta del partner, ovviamente, deve ricadere su aziende i cui comportamenti siano in linea con i valori dell’organizzazione e con i codici di condotta etici e internazionali. Dal punto di vista delle aziende for profit, invece, associarsi ad un “marchio sociale” significa affrancarsi dall’interesse personalistico, avvalendosi di una costellazione semantica etica. Specularmente, la scelta dell’Organizzazione da sostenere deve essere fatta in base alla tipologia di attività e, soprattutto, alla trasparenza sulla effettiva destinazione dei fondi.

La beneficenza sotto forma di denaro dovrebbe essere uno strumento solo marginale all’interno di un piano di Corporate Social Responsibility (CSR) che, sempre più, dovrebbe favorire strategie di intervento attivo e coinvolto da parte dell’azienda.
Alcuni brand, ad esempio, bandiscono concorsi per destinare i fondi alle ONP sotto forma di grants (premi). In questo modo, l’azienda assume un ruolo attivo nel controllo della qualità del progetto da sostenere. Per una pianificazione strutturata dell’immagine etica, la strategia di stampo anglosassone suggerisce di sostenere un numero ridotto di charities (o anche solo una) e fidelizzarsi a queste, creando una partnership duratura e stabile. In questo modo l’azienda si rende riconoscibile come legata a una determinata Associazione e, attraverso questa, a uno specifico settore di intervento filantropico.

In una fenomenologia della Marca in cui non è chi non comunica di essere, all’Ethical marketing mix va poi associato un Ethical communication mix, pianificando i canali su cui veicolare la propria immagine “clean”.
Debole e poco strutturato, invece, l’attuale panorama italiano in fatto di responsabilità sociale.

La CSR è spesso gestita in modo decentrato e delegata alle scelte estemporanee delle singole filiali dell’azienda. Stabilire dalla sede centrale una politica uniformata in tutto il territorio costruirebbe, invece, un’identità etica coerente e ben delineata. E’ in seno a tale scenario che, attraverso seminari, formazione e investimenti reali, le aziende più illuminate e le Associazioni di settore promuovono in Italia una cultura del Sociale, che s’innesti in maniera trasversale nell’intera filiera del business.

Una occasione di approfondimento e di dibattito sul tema è data da AISM (Associazione Italiana Marketing) che, in collaborazione con B&C-Ricerche di Marketing, Consodata, Eccellere-Business Community, Elea, il 10 marzo 2009 a Roma organizza il seminario “Il Marketing delle Organizzazioni non profit: dal volontariato alla marketing intelligence”, aperto ai soci e a chiunque sia interessato all’argomento.