Il potere al popolo e la lezione di Kaplan

Power to the people cantava John Lennon, baronetto miliardario, nel 1971 durante il suo periodo rivoluzionario, ma mai il Beatles transfuga avrebbe potuto immaginare che oggi dare potere al popolo non è più qualcosa da scippare alle caste neghittose, ma l’unico modo che potrà permettere alle classi dirigenti di continuare a esistere, e questo sia sotto il profilo politico-sociale, che lasciamo ai commentatori politici, sia per quello che riguarda il modo in cui l’azienda deve oggi proporsi al pubblico, inteso come tutta la variegata fauna di chi ha interesse a un’azienda, gli stakeholders, cioè dipendenti, fornitori, azionisti, comunità locali e, last but not least, i clienti e, fra questi, i brand lover e, in particolare, quella fetta ancora più piccola che sono gli innovatori, quelli che telefonano al call center del brand amato e bramano che i signori del customer care ascoltino le loro accorate suppliche di mettere in produzione quell’idea che solo loro hanno avuto per migliorare il prodotto, quelli che identificano un baco nel costosissimo portale web e che vogliono raccontarlo perché, perché, perché…

 

di Roberto Marsicano

 

Già, perché? I perché sono tanti e diversi, e magari cumulati nella stessa testa: esibizionismo (quanto vale al bar dire che quella modifica alla BMW l’ho suggerita io), amore per il marchio (e se è amore vero l’amore è dare senza contropartita), desiderio di guadagno (anche poco, anche un regalino dell’AD per quella bella pensata), necessità di essere riconosciuto dal proprio amato (io amo il brand e lui gratifica il mio amore riconoscendo i miglioramenti che suggerisco), altruismo (quanta gente ama la Ferrari perché s’immedesima nel tecnico italiano che lavora grazie ai successi della Rossa?).

E se ne potrebbero citare tanti altri di motivi, ma alla base c’è un fenomeno oggi esplosivo causato dalle tecnologie dell’informazione: nel mondo dove il quarto d’ora di celebrità warholiano è oggi declinato in massa grazie alla facilità di creare un blog, un sito web, di esibirsi in una qualsiasi community su Internet, il consumatore ha maturato e interiorizzato quello che ritiene un diritto ormai assoluto: dire la sua, fare le sue proposte e sopratutto essere ascoltato.

E c’è chi questo l’ha studiato e codificato, vedi Eric von Hippel dell’MIT http://web.mit.edu/evhippel/www/ e la sua teoria dell’innovazione democratica perché pilotata dagli innovatori, quella fetta piccola, ma molto esigente e creativa, che precede gli early adopter; ma c’è anche chi la sta applicando concretamente, e non parliamo di alcuni iniziali timidi tentativi, anche italici come Barilla con il suo il “Mulino che vorrei”, Ducati e Fiat, no, chi sta applicando in modo massivo l’idea di dare voce agli stakeholders è Procter & Gamble, una conglomerata al 24° posto nella classifica di Fortune 500, quella che ha creato un portale (https://secure3.verticali.net/pg-connection-portal/ctx/noauth/PortalHome ) dove tutti possono mandare idee che possano essere d’interesse per la corporation, perché, parafrasando John Lennon: You better give them what they really want.

Insomma qualcuno si è accorto che power to the people è ormai roba vecchia: oggi, il popolo, il potere se l’è già preso da un pezzo, l’importante è che lo capiscano i dirigenti delle aziende, che la piantino di chiudersi nel solipsismo dell’ottavo piano e cerchino invece idee nel pubblico, soprattutto quello già a portata di mano, i collaboratori, gente che va incentivata, con premi in volgare denaro, a proporre innovazioni, a proporre nuovi prodotti, a cambiare le regole del gioco.

Ma ci vuole tanta comunicazione interna, bisogna che tutta la portaerei sappia che sul ponte si sta combattendo una battaglia della nostra nave contro tante altre, bisogna comunicare ASAP l’urgenza di proporre il cambiamento perché anche un altro paradigma, l’impresa fordista è morta e sepolta, non più collaboratori che vivono nella sacralità dei bramini dei laboratori, dei guru del design o degli sciamani del marketing, ma un’azienda dove l’eresia permanente sia la nuova religione.

 
Commento di Giandomenico De Franco:

 

Mi soffermo soprattutto sulle ultime considerazioni di Roberto Marsicano che trovano riscontro e nuovi spunti di riflessione nella lezione tenuta da Robert Kaplan al Top Management Forum del 3 dicembre a Milano, laddove, con i termini “engagement” e “sharing strategies with employees” Kaplan ha più volte ribadito che spesso l’applicazione della balanced scorecard trova grandi ostacoli quando non sia seguita dal coinvolgimento della forza lavoro.

Definire una strategia è essenziale ma, come descritto dal Fortune Magazine, meno del 30% delle strategie effettivamente definite sono poi effettivamente eseguite, a causa di mancanza di comunicazione interna; una nota dolente soprattutto per le aziende del Belpaese.

Non basta quindi definire una strategia eccellente, occorre poi spingersi oltre, creare consenso, istruire e allineare la forza lavoro, e gli strumenti, con il rapido sviluppo delle tecnologie, non mancano di certo: se quanto realizzato da IBM con l’applicazione Lotus Connections, che consente ai dipendenti di 120 nazioni di collaborare fra loro e integrarsi con altri network esterni quali facebook o second life, rappresenta un livello troppo avanzato, i buoni risultati ottenuti da Intesa Sanpaolo con l’utilizzo di wiki interno a fini formativi e condivisione delle best practices interne è già un buon punto d’arrivo.

Eseguire le strategie facilitando e incentivando il coinvolgimento delle risorse umane anche mediante gli strumenti messi a disposizione dai social network può generare un effetto indotto virtuoso di maggior coesione tra la forza lavoro stessa, ponendo le basi per una Impresa realmente 2.0, a patto che gli anelli della catena siano ben codificati e non si perda di vista l’accountability.

Sono riflessioni da non sottovalutare alla luce di quanto sta accadendo nel contesto economico-finanziario attuale, e degli scenari futuri che si vanno delinenando, caratterizzati da fasi d’instabilità economica e socio-politica sempre più frequenti, influenzati da forze esterne sempre meno controllabili e prevedibili, per cui, se da una parte l’azienda vincente sarà quella che avrà instaurato un rapporto di fiducia bidirezionale con il cliente, è altresì vero che la rapidità d’intervento con cui far fronte ai cambiamenti repentini del contesto ambientale richiederà una unione d’intenti che accompagni un altrettanto rapido cambio di strategia (almeno a breve termine), ed il cambio di marcia, l’esecuzione, non ammette ritardi.